Intorno al 1978, in opposizione alla scintillante ma alienante realtà cittadina, i contenuti dei miei quadri diventano più intimisti e propongono una poetica a dimensione umana, fatta di piccole ed umili cose: contro il frastuono il silenzio, contro il cieco ottimismo il cauto realismo. La bellezza di un pacchetto di sigarette buttato su un mucchio di pietre, oppure la poetica di un cielo riflesso su una pozzanghera o su vetri rotti, contro la spocchia di una civiltà raccontata dalla retorica dei media.
In questo periodo comincia a delinearsi l’esigenza formale di esprimermi non più attraverso la bidimensionalità della tela, ma attraverso la tridimensionalità di una pittura su più piani. Forse per rendere più credibile ed incisiva la mia poetica.